Gianluigi Paganessi, l’orafo che in sella alla moto era un gioiello di pilota
Dicono che la prima volta non si scordi mai. Ed è vero: per molte, differenti “prime volte”….
Dicono che la prima volta non si scordi mai. Ed è vero: per molte, differenti “prime volte”. Compreso il “battesimo del fuoco” in sella a una moto che per chi ha le due ruote nel sangue è destinato a restare impresso in maniera indelebile della memoria. Con le immagini pronte a scorrere davanti agli occhi , magari chiusi per “vederle” meglio, con decine di dettagli. Gianluigi Paganessi, pilota e gioielliere (ma anche molto altro ancora) ricorda, per esempio, non solo ogni particolare della sua prima volta in moto, “su una Garelli 50, con i segni di qualche caduta di troppo sul serbatoi e sul manubrio”, ma anche il nome e cognome di chi quella moto gliel’aveva prestata , riassumendogli in una manciata di parole, pronunciate in dialetto e con il tono di chi non ha tempo da perdere e tantomeno disponibilità a ripetere la spiegazione, come inserire le marce a pedale, come usare la frizione e la manopola dell’acceleratore, il freno. Un “corso di formazione” della durata di meno di cinque minuti “perchè c’era il lavoro da finirere nei campi”, su un “campo di prova” sotto Città Alta, di cui Gianluigi Paganessi, nonostante sia passato praticamen te mezzo secolo, ricorda perfino i punti in cui il terreno presentava le buche e i sassi più pericolosi, le princiali trappole. Colte al volo dallo sguardo di un ragazzino di 12 anni, a dimostrazione che la stoffa c’era. Come avrebbero dconfermato, del resto, già i primissimi giri sui campi e i sentieri di Città Ata; come avrebbero testimoniato i progressi straordinari fatti giorno dopo giorno guidando la “sua” prima moto, una Rond Sachs, il “primo amore impossibile da scordare”: quello destinato a far scattare la molla e a spingerlo a iscriversi alle prima gare regionali, “antipasto” di un ricco menù di future gare importanti che l’avrebbero visto protagonista sui campi di gara italiani ed europei. “All’inizio è stato tutto un gioco, come è normale che sia per un ragazzino: un gioco divertentissimo che mi piaceva da matti e che mi veniva facile”, racconta Gianluigi Paganessi riavvolgendo il film di una passione mai spenta, visto che il racconto lo fa seduto al tavolo da lavoro (nel suo “antro della sibilla”, il laboratorio orafo sotto la gioielleria che ha aperto ormai da oltre 20 anni in via Sant’Alessandro, dopo aver fatto partire l’attività di orafo nella sua prima bottega anni prima in via Pignolo), dove è impossibile non notare in un angolo gli stivali e i pantaloni da cross ancora da sistemare che raccontano di una gita di “motoalpinismo” da poco portata a termine, con qualche ora in sella prima di sedersi a gustare un piatto di carne accompagnata da funghi raccolti da lui stesso e dai suoi compagni di “cavalcata”. Primo fra tutti Mirko Panattoni, capace dopo anni di lontananza da moto e setnieri di convincerlo a rimettersi in sella. “Amici di oggi come, in qualche caso, di decenni fa, ai tempi in cui salire in sella era il gioco più straordinario che un ragazzino potesse sognare, reso ancora più divertente proprio dal fatto di “giocarci” in compagnia degli amici, diventati in più di un caso compagni d’avventura sui campi di gara”, sottolinea Gianluigi Paganessi. “Amici che avevano iniziato in diversi casi prima di me e che mi avevano spinto a seguirli nelle competizioni, nelle quali spesso li avrei però preceduti, nonostante fossi il “piccollo” del gruppo”, prosegue sorridendo, con lo stesso lampo che si accende negli occhi guardando alcune vecchie fotografie con i modelli di moto , ma anche l’abbigliamento, che testimoniano il trascorrere del tempo . Fotografie che aiutano a ricostruire la sua “carriera” su due ruote. “Ho corso dal ’76 al ’78 con Rond Sachs, DEkw e Swm con un intermezzo Puch e Fantic”, aggiunge “Gianlu”, cone lo chiamano tanti gra gli amici, facendo scorrere un pacchi di vecchi scatti ma anche farendo correre la narrazione come se avesse anche qui un traguardo da tagliare per primo, rallentato solo da chi, prendendo appunti, non riesce a stare al ritmo. Foto che raccontano di un sacco di gare disputate. “Quella che ricordo con più emozione? Non c’è dubbio: la Valli Bergamasche che ho sempre reputato la più faticosa dell’intero campionato. Per quanto riguarda le trasferte oltrefrontiera ricordo invece con piacere quelle nei Paesi dell’Est, in Polonia e Cecoslovacchia”. Ricordi di corse che fanno riemergere modelli di moto, tracciati, ma anche piloti, rivali… “Tanti e che cambiavano in base alle cilindrate: in corsa tutti “nemici”, fuori dal campo di gara in molti casi amici, come per esempio nel caso di Dario Salvi, un amico davvero particolare con il quale ho condiviso più momenti ed esperienze. O come Mirko Panattoni, che mi ha rimesso in sella dopo anni di “riposo”. Ma di amici piloti ne ho avuti tanti: Bernini, Gualdi, Oriboni, Marinoni, Andreini. Io ero il più piccolo e loro mi hanno fatto da maestri”. Facendolo crescere “in tre scuderie diverse: da dilettante , con il Motoclub Eletta Almè, poi come pilota ufficiale seguiendo le varie case costruttrici: con la Rond Sachs sono stato con il Motoclub Sebino Marone, con la Dkw invece con il Moto Club Norelli, per molti versi una famiglia, e con la Swm MC Treviglio”. Squadre e compagni di squadra, gare che hanno scandito gli anni costellati di ricordi, di aneddoti con i quali, dice, “potrei anche scrivere un libro con qualche pagina imperdibile. Magari dedicata al racconto di quando partivamo per le gare del camionato europeo con un furgone Fiat 238 e con una damigiana di vino sul tetto, con una cannetta che entrava dal finestrino del passeggero”. Sognando, vino permettendo, di tornare vincitore, come capitava spesso ai suoi idoli, i piloti che ha ammirato di più , “primi fra tutti Guglielmo Andreini e Franco Gualdi”. Piloti che sfogliando il pacco di foto ritrova in qualche scatto, così come le sue moto “da ragazzo” che ormai ha venduto da tempo, liberando i garage in cui ora è rimasta solo una Montesa Honda da trial compagna di avventura sui sentieri che in molti casi conosce a memoria. ” I più belli? Dipende con che moto si fanno: in sella a un’ enduro sicuramente le zone di Onore e Magnolini, se parliamo di moto alpinismo invece alta Val Brembana e Valtellina”. Sentieri che ha continuato a percorrere a volte anche per tenersi in allenamento, dopo essere “passato” alle quattro ruote per praticare “uno sport molto simile, ma decisamente molto meno faticoso della moto”. Un passaggio, comnfessa ridendo, compiuto anche “perchè le partenze delle moto erano al mattino troppo presto, mentre i rally erano la sera”. Lasciandogli tutto il tempo necessatio per realizzare meravigliosi gioielli nel suo laboratorioda orafo, professione che, conclude, ” è stata comunque una conseguenza dei miei studi di meccanica motoristica”. Due mondi apparentemente distanti ma invece con “molte cose in comune” e che lui continua a percorrere fondendo anelli bracciali e collane e incastonando pietre e salendo in sella. Ma anche realizzando gioielli che hanno come soggetto una moto, come una bellissima spilla con una minienduro che ha reso felicissimo un ex pilota. Un oggetto prezioso che poteva essere realizzato solo da un gioielliere con un passato da “pilota gioiello”….