Sei Giorni, l’edizione in Boemia è stata magica anche per le trote pescate usando come rete il “Barbour” e per la ruota aggiustata con il fil di ferro
Anno: 1963. Luogo: Nord della Boemia ai piedi delle Montagne dei Giganti da cui sgorga canterellando un…
Anno: 1963. Luogo: Nord della Boemia ai piedi delle Montagne dei Giganti da cui sgorga canterellando un piccolo fiume, anzi, a vederlo, avrei detto un torrente. Invece aveva un nome importante: Labe! A dir la verità questo nome non mi disse nulla, al momento, ma poi, curioso come sono sempre stato, seguendolo sulla carta vidi che il suo corso a un certo punto svoltava e ritornava verso nord dirigendosi, decisamente, verso la Germania. E qui avveniva la metamorfosi: il nome si anagrammava e diventava Elba! Accidenti era proprio un fiume, e importante anche. Vicino a questo gigante, ancora in fasce, in un albergo, che in passato aveva sicuramente conosciuto tempi migliori, risiedeva la squadra italiana di Regolarità che si apprestava a partecipare alla Sei Giorni. Dieci piloti, dieci Guzzi: 6 per il Trofeo, 4 per il Vaso. E lì vicino il piccolo grande fiume pieno, come mai visto, di splendide trote. La tentazione era troppo forte! Così, una sera, protetti dal buio, steso un “Barbour” a far da diga e battendo l’acqua a monte, in men che non si dica venne procurata la cena per tutta la compagnia. Non c’erano segni di divieto di pesca per cui penso, ancor oggi, che l’azione non sia da classificare fra le criminali. E poi, in attesa di una gara così importante, pur qualcosa dovevamo fare per passare il tempo. E venne il giorno del via. Erano tempi in cui cechi, tedeschi dell’Est e dell’Ovest imperversavano e noi si stava a guardare. Si, tre anni prima, in Austria avevamo vinto un Vaso d’argento ma per una postuma decisione della Giuria che aveva trovato non so che per favorire i padroni di casa e, indirettamente, anche noi. Ok si parte, ma già al secondo giorno Gorini rompe la ruota anteriore, però la rompe non completamente: sono tre o quattro raggi che strappano, al mozzo, la loro sede, cosicché è possibile una riparazione di fortuna con del fil di ferro. Cambiare, allora, non si poteva perché era punzonata ogni cosa e i meccanici non potevano far nulla. Gorini non si perse d’animo e ogni mattina, prima di partire rifaceva il cerchiaggio col filo di ferro e via. Un giorno, un altro, vuoi vedere che tiene fino in fondo? Naturalmente tutti, dal cuoco al capo spedizione, tenevano il fiato e tutta la gara si accentrò sulla ruota che venne ribattezzata “magica” soprattutto l’ultimo giorno quando, in trionfo, giunse al traguardo: vinto il Vaso d’Argento! E senza aiuti esterni. Ricordo che tutte e 10 le Guzzi arrivarono alla fine, tutti medaglia d’oro e secondi nel Trofeo. Un risultato, per quei tempi, fantastico, anzi magico come la ruota di Gorini che andò direttamente nel Museo della Guzzi a Mandello Lario dove, forse, c’è ancora. Certo erano tempi, quelli, quando anche una piccola cosa significava molto per noi, erano tempi romantici anche per lo sport, tempi in cui i rapporti umani erano molto forti e le amicizie diventavano tenaci e durature. Ancora oggi, dopo quarant’anni, quando incontro un amico di allora il cuore si apre e rivendica la sua voglia di felicità che quell’amico ti riporta con se.
Mario Tremaglia
Dall’opuscolo per il “13° Trofeo Gino Reguzzi – Valli Bergamasche Revival” Oltre il Colle – 25 e 26 giugno 2005